Sorprende la brevità della vita di questo pensatore liberale
ma rivoluzionario, molto attento a cogliere nella rivoluzione russa il
possibile realizzarsi degli interessi del proletariato in una dialettica
possibile della storia. La sua attività di giornalista e di editore ai massimi
livelli, la laurea in giurisprudenza coi massimi voti sono indizi di una
vivacità cerebrale non certo comune.
Tre le riviste da lui fondate, Energie nove, la Rivoluzione
liberale e il Baretti.
Questo libro fu edito da Cappelli nel 1924. Egli si oppose
strenuamente al fascismo nel quale intravide una sorte di autobiografia della
nazione e, come Montanelli disse di
Berlusconi , anch'egli pensò che
l'avvento di Mussolini avrebbe, attraverso la tirannia, risvegliato la reazione
degli italiani.
Egli fu un liberale sino in fondo convinto che la storia
procedesse proprio nel raffronto delle diversità e che la politica fosse il
mezzo per rappresentare anche gli interessi
responsabilmente coltivati dalle varie parti sociali..
E' interessante riprendere lo scopo dichiarato da Gobetti
della Rivoluzione liberale come attuativa di un compito di formazione
spirituale dei giovani del dopoguerra 1915-1918.
Per l'inserimento nella vita politica dell'Italia, per
migliorarvi i costumi e le idee, educando se stessi si educano anche gli altri.
Può essere che per alcuni di noi la politica , coi suoi
imprevisti e con l'iniziazione diplomatica, costituisca proprio una sorta di
esperienza artistica di tutto l'uomo.
La dimensione liberistica di Gobetti gli fa ricordare che il
Cavour ammoniva che il Ministero non può fare l'ufficio del giornalista.
E' forte in lui l'idea di autonomia e quindi di
responsabilità che legittima una sorta di conflitto continuo dei vari interessi
organizzati che proprio attraverso l'azione politica trovano continua
composizione. Di qui la convinzione della positività della classe operaia , in
un certo senso attrice della storia non attraverso la rivoluzione come in
Russia ma attraverso la sua lotta nei luoghi di lavoro per una trasformazione
in senso liberistico e non protezionistico della economia del paese.
Con questa idea di fondo si legittima il confronto
dialettico degli interessi, e si persegue il vero interesse generale che è
quello di rendere possibile proprio il confronto partecipato degli interessi.
L'idea liberale va realizzata anche attraverso il liberismo
economico ma non solo.
Tale concezione è chiave di lettura dell'azione politica,
della vita dei partiti stessi, della questione meridionale e della situazione
agraria.
Gobetti ripercorre le tappe del risorgimento con questa idea
di fondo, giungendo ai suoi tempi di dittatura e proiettandosi verso un futuro
di democrazia.
Il contrasto vero non è tra dittatura e libertà ma tra libertà
e unanimità.
Da ciò l'implicito rispetto delle diversità auspicabili e
necessarie di qui la predilizione dell'autonomia nei riguardi dell'autorità.
Lamenta che dopo l'unità di Italia il liberalismo non si
fosse affermato nella sua dimensione individualistica ed autonoma ma che il
protezionismo fosse prevalso in economia e la politica di parassitismo e la
parola d'ordine delle classi inferiori fosse la ricerca di un sussidio.
L'agricoltura sia intensiva del nord che estensiva del sud
finiscono col costituire l'aspetto conservatore di una pratica liberale nella
quale i proprietari resistono nella difesa eterna dei propri diritti.
L'industria alimenta nel nord un liberalismo di avanguardia.
La fabbrica educa al senso della dipendenza e della
coordinazione sociale ma non spegne le forze della ribellione.
Vi è poi il concetto di elite come fortemente democratico.
Concetto che mi pare ritorni esplicitamente in Augusto del Noce come
connaturato a quello democratico. In Gobetti essa sembra la sintesi delle aristocrazie
di ciascun ceto e gli stessi partiti sono espressione di questa dialettica
mediatrice di interessi..
Riportiamo il passo in cui descrive chi non poteva dirsi
liberale:” i nazionalisti e i siderurgici, interessati al parassitismo dei
padroni, né i riformisti che combattevano il parassitismo dei servi, né gli
agricoltori latifondisti che vogliono il dazio sul grano per speculare su una
cultura estensiva di rapina, né i socialisti pronti a sacrificare la libertà di
opporsi alle classi dominanti per un sussidio dato alle loro cooperative” .
Seguono considerazioni su vari uomini politici da Toniolo
(1845-1918) a Meda, da Sturzo al quale riconosce un sostanziale e laico
rispetto della libertà dello Stato dalla Chiesa.
Della sua complessa
panoramica dei partiti e dei movimenti di allora che non ci riesce di riportare
qui, riferiamo che quando parla del pensiero repubblicano verso il Parlamento
lo troviamo partecipe ” della comune aspettazione dal governo tecnico e
competente “ e che la storia recente aveva mostrato in modo inconcusso la
superiorità degli incompetenti sui competenti.
Noto anche questo passo sul federalismo: ”Il federalismo per
spiriti non negati alla cultura conserva le suggestioni dell'eresia più
accreditata che sia sorta nella nostra storia politica.
Il vessillo dell'autonomia e del decentramento nasconde
sfumature e risorse complesse ed impreviste: del regionalismo è facile
rinnovare di fronte alle esigenze ricorrenti i sensi e le suggestioni; la
modestia dell'insegnamento economico non è fuor di luogo nell'Italia moderna,
il mito libertario sta per diventare laborioso e doveroso.
In un regime intollerante di critica e di autonomia, sotto
un governo dispotico, queste sfumature di indagini e delicatezze di metodo
hanno un compito ben preciso di difesa per l'avvenire, anche se non ne
scaturisca oggi un imperativo di azione tutto chiaro.
Il sistema proporzionale voluto in Italia da Sturzo e Donati
si rivelò utile nel creare le condizioni della lotta politica e del normale
svolgimento dell'opera dei partiti: esso obbliga gli individui a battersi per
una idea, vuole che gli interessi si organizzino, che l'economia sia elaborata
dalla politica.
Ricordo che l'avvento del sistema maggioritario, fondato
peraltro sulla ricerca del bipolarismo nell'ultima parte del ventesimo secolo
si accompagnò, sulla scorta anche della caduta della cosiddetta prima
repubblica apparentemente travolta dalla questione morale al coro inneggiante
alla morte delle ideologie.
Dietro tale affermazione passava in realtà l'invito ad una
sorta di pragmatica ricerca del successo elettorale per essere legittimati,
poi, ad amministrare senza il controllo e la partecipazione proprio del
Parlamento perchè del contributo delle idee si potrebbe fare a meno.
Di qui l'inutilità di visioni generali differenziate, di qui
il consolidarsi dei partiti come macchine di potere autoreferenziali, da qui
l'abolizione del diritto del popolo di scegliere i propri rappresentanti.
Sono i fascisti che storicamente lottarono contro la
proporzionale .
Dove prevale senza incertezze una maggioranza si ha
nient'altro che una oligarchia larvata: l'arma del ricatto diventa il sistema
con cui il tiranno può asservire ai suoi istinti gli eserciti delle democrazie
votanti. I blocchi e le concentrazioni sono il sistema del semplicismo in cerca
di unanimità.
L'Italia di Nitti con la sua proporzionare resta per Gobetti
il primo esempio della capacità degli italiani a vivere in un regime di
democrazia moderna , fuori di esso non si ebbe che il Medio Evo di Mussolini. L'elogio
della proporzionale risulta interessante forse anche per i le ragioni per cui
la nefanda legge elettorale “porcellum” non ha trovato dignitose opposizioni in
un popolo ormai asservito ad una parodia di democrazia.
Il problema della scuola.
Interessante ma non lo riporto se non per alcune
affermazioni che prescindono dai particolari storici e che mi piacciono .
Solo uno stato teocratico può rivendicare il diritto al
monopolio scolastico: loStato moderno non ha una funzione patriarcale di
educatore e chi parla di un'etica di Stato, parla per metafora.
Interessante
notare le idee di Gobetti sul
valore legale dei diplomi e sul livello di cultura dell'Università, inferiore a
quello della società civile
Un cenno finale al Mussolinismo, più grave del fascismo stesso. Sembra un
anticipo del Berlusconismo: Il mussolinismo è dunque un risultato assai più
grave del fascismo stesso perchè ha confermato nel popolo l'abito cortigiano,
lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal Duce,
dal domatore, dal deus ex machina, la propria salvezza
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