sabato 21 gennaio 2012

La sinistra e la questione meridionale

Gaetano Salvemini nacque a Molfetta e fu professore universitario all’Università di Firenze, e sono interessanti le sue considerazioni sul ruolo delle Università in genere e di quella Napoletana in specie, cui rimprovera di venire largamente meno al ruolo formativo delle nuove generazioni. Di fondamentale rilievo le considerazioni sul significato della cultura sia nel profilo specialistico che non deve e non può mancare, nell’ambito del quale lo specialista, consapevole di non poter sapere tutto neppure nel suo campo , per limitato che sia, deve acquisire una capacità di apprendere di interpretare e quindi conoscere la propria specialità.
 D’altra parte vi è la cultura generale , il sapere di tutto un po’ che sola integra l’uomo nella società e che pure sembra rispondere a ciò che non necessariamente debba essere utile: il sapere disinteressato.
Egli ci parla dello studente  Cocò che frequenta l’Università di Napoli e ci dà uno spaccato emblematico e ancora attuale della corruzione dei costumi e della cultura, nelle sue diverse sfumature nazionali, tuttora tragicamente attuali.
Così pure si evidenzia il legame necessario tra questa cultura dominante e l’incapacità dei partiti di tenere azioni coerenti con gli ideali proclamati non riuscendo ad andare al di là dei propri privilegi. Il fenomeno anzi è ancora più evidente nei partiti, tutti , proprio perché in essi predominano coloro che non hanno altro impiego.
Salvemini fu uomo politico e in particolare militò nell’area socialista e visse tutti i travagli e i conflitti di quel movimento. Di grande interesse ed attualità le differenti condizioni del sud e del nord, così come si rispecchiavano all’interno dello stesso partito socialista per effetto del diverso peso e presenza delle classi sociali.
La classe lavoratrice del nord che accanto a quella rurale vede una significativa presenza di quella industriale ha un ben altro peso politico ed economico rispetto a quella rurale del sud, priva generalmente del diritto di voto per effetto dello straripante analfabetismo. Egli vede nella piccola borghesia la classe dominante di quell’epoca. Siamo agli inizi del secolo XX ma anche questa classe di esercenti, piccoli appaltatori, professionisti, impiegati, spostati finisce con giocare un ruolo diverso al sud e al nord. Qui bilanciandosi tra la borghesia capitalista e proprietaria e quella parte della classe lavoratrice che gode del diritto elettorale e, spostandosi di qua e di la nelle elezioni, determina la vittoria, come l’ago di una bilancia. Nel Sud ,invece essa è la classe assolutamente dominante e ha il monopolio quasi incontrastato e a differenza del nord il suo potere non essendo bilanciato si rivela deleterio.
Salvemini punta tutto sulla cultura e significativa è la sua profonda attenzione ed analisi sul ruolo fondamentale della scuola e sul senso dell’insegnamento.
Di qui anche il collegamento stretto con la questione dell’introduzione del suffragio universale che solo potrebbe distruggere il monopolio amministrativo e politico delle camorre locali. In questo circolo vizioso il governo e lo stesso parlamento sembrano rispondere funzionalmente alla logica di una vera e propria banda i cui equilibri sono assicurati da Giolitti, il ministro della malavita,
Salvemini fu anche il fondatore dell’Unità dopo che fu uscito dal partito. Avversò il fascimo e si recò in esilio negli stati Uniti.
Sulla questione meridionale, tuttora non risolta, ne esplora acutamente le cause storiche e contemporanee, rinvenendo le origini dello squilibrio economico e sociale nella stessa unità di Italia che considera frutto di una sorta di conquista dei piemontesi e richiama una serie di luoghi comuni oggi ancora di moda. Curiose coincidenze sia pure muovendo da intenti e convinzioni radicalmente opposte ricorrono tra il federalismo di Salvemini e quello della lega, così pure l’individuazione di Roma  come epicentro del male affare, di uno Stato centrale mancipio di un pugno di affaristi, accentratore, divoratore e distruttore.
Da questa conquista derivarono effetti economici devastanti per il Mezzogiorno e ne conseguì una squilibrata distribuzione delle ricchezze  e squilibri sul carico tributario.
Infine voglio ricordare alcuni passaggi illuminanti sulla funzione della scuola e sull’insegnamento con la impressione che il quadro normativo cui faceva riferimento il Salvemini fosse molto più rispondente di quanto lo sia oggi all’idea della libertà di insegnamento e della laicità della scuola.
Non vi è qui lo spazio e il tempo per dimostrare questa impressione.
La scuola è laica quando non ha il compito di indottrinare , di inculcare valori precostituiti e il pericolo che ciò accada non viene solo dalle componenti religiose ma anche da altri soggetti. Il Salvemini ricorda che lo stesso Mazzini prometteva a Daniel Stern che appena fosse intervenuta la sua rivoluzione avrebbe destituito tutti i professori hegeliani dell’Università di Napoli.
Quando fu Ministro dell’Istruzione l’On Nasi la massoneria fece e disfece dispoticamente la Minerva, il signor Nathan, Gran maestro della massoneria e alquanto mazziniano, approfittò del momento propizio per fare imporre come libro di testo nelle scuole “i doveri degli uomini” del Mazzini.
Dalla legge Casati in poi la libertà di insegnamento sembra sufficientemente garantita  a fondamento della laicità della scuola ma Salvemini avverte che sono gli stessi insegnanti a dover garantire questa loro prerogativa dai molteplici attacchi dell’esterno.
Vengono evidenziati i temi di una corretta pedagogia  della ineliminabile personalità del docente che certo non resta un neutro trasmettitore di nozioni ma che offre la propria verità ai discenti perché essi possano servirsene per elaborare la propria identità culturale. L’autonomia del docente si coglie e si rafforza sia nel momento del reclutamento sia nello sviluppo di collegialità autonome quale il consiglio superiore dell’istruzione.
La cultura e la laicità sembrano rinviarsi reciprocamente e si ripresenta inevitabile l’antitesi tra scienza e fede.
Il relativismo predomina con buona pace di chi perora la causa delle verità assolute.