martedì 27 dicembre 2011

Il diritto e la questione Armena

Il legislatore francese ha di recente previsto come reato la negazione del genocidio del 1915 degli armeni da parte dei turchi.

Ne è seguito uno scontro politico tra Francia e Turchia che mi suggerisce di rilevare che ,al di là del merito della questione, la circostanza più deplorevole sta nell' aver previsto un vero e proprio reato di opinione.

Il diritto non deve occuparsi delle opinioni e del pensiero, la sua sfera di azione non può che limitarsi a quella dei comportamenti.

Questo è un caposaldo di uno stato di diritto.

E' un attacco indiretto ma non meno efficace e subdolo alla libertà di pensiero e di manifestazione dello stesso.

Se un genocidio sia avvenuto è questione che riguarda la storia e, se si vuole, la politica.

L'interpretazione dei fatti si svolge su un piano diverso da quello giuridico ed è circostanza in sé irrilevante per il diritto di uno stato moderno o post moderno che non si dichiari integralista.

E' molto strano che in un paese come il nostro che giustamente e vivacemente si è di recente occupato di possibili e concrete minacce alla manifestazione libera del pensiero e della stessa libertà di stampa, non siano state spese molte parole sull'aspetto che ho qui sinteticamente evidenziato.

venerdì 23 dicembre 2011

Le prodigiose avventure di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet

E' un romanzo francese della fine dell'ottocento(1872) ed è ambientato nel Mezzogiorno mediterraneo che ben si presta ad evidenziare i rapporti tra la fantasia e il bisogno di avventura, tra il sogno e la menzogna, tra la realtà e la mediocrità, tra le idee comuni e la verità.

Una volta che la fantasia spinta dal bisogno di avventura si traduce nell'esperienza di un uomo , tanto egli stesso quanto la società che lo circonda si induce a confermare in ogni modo il tipo rappresentato, in un bisogno continuo di conferme e nel terrore di smentite.

Da qui anche la menzogna collettiva come bisogno di credere e di far credere. La caccia ai berretti che sostituisce , sino a che punto poi?, la caccia agli animali e in particolare a quella mitologica della tarrasca, mostro a sei zampe , simile ad una grande tartaruga,abitante la Provenza, la caccia ai leoni estinti di Algeria, la Svizzera consumistica e finta, con la sua cima Jungfrau che si fa scalare dall'eroe Tartarino, nello stesso tempo asseconda in sicurezza il bisogno di avventura di ogni visitatore.

I ruoli così assegnati non possono che trovare conferma in queste credenze e bugie collettive, mentre accanto si svolge anche una vita reale, meno eroica ma certamente umile , tenera e meno visibile e raccontabile.

L'amore devoto e assoluto del cammello, privato di ogni formale dignità, può non lasciare la stessa traccia avventurosa di un pericoloso e fiero leone che alimenta l'importanza dello stesso cacciatore anche se non esiste più neppure in Algeria, così come l'eroe sopravvive nella sua dimensione collettiva grazie a scalate che pure potrebbero non essere per nulla avvenute e non si accorge di una zitella che lo sente importante comunque per lo stesso fatto che esista e che rientri nella sua casa come ogni giorno..

Quanto forte sia il tipo collettivo lo si vede confermato nell'addio della città di Tarascona a Tartarino, per una morte in reltà non avvenuta ma che come tutte le morti produce la celebrazione dell'estinto e il riposizionarsi conseguente di coloro che con lui ebbero rapporti reali o di sogno.

I ruoli si ridefiniscono, soprattutto quelli che valgono per il cammino futuro, salvo che il ritorno dell'eroe non finisca per rompere la nuova trama.

venerdì 1 luglio 2011

LA LISTA DELLA SCUOLA ( secondo Vincenzo Viglione)

I decreti delegati erano stati da poco approvati e l'istituzione scolastica era stata riformata dando riconoscimento alla volontà espressa nella società di una maggiore e più diretta partecipazione al governo della scuola.
“L'autunno caldo” aveva evidenziato che gli stessi istituti di democrazia rappresentativa, così faticosamente ripristinati dalla Costituzione repubblicana, venivano messi in discussione sull'onda del bisogno di rinnovamento che la società esprimeva.
Il Ministero era della Pubblica Istruzione e si articolava a livello di regioni in Sovrintendenze scolastiche e a livello provinciale in Provveditorati agli Studi.
Il termine istruzione, coerentemente al dettato costituzionale che assegnava e assegna ancora oggi alla repubblica il compito di istruire e non quello di educare, aveva da tempo sostituito l'espressione educazione nazionale, proprio per tentare di impedire l'evocazione di precedenti momenti storici in cui si pretendeva di affermare una sorta di pedagogia di Stato, più propria di regimi totalitari.
Col tempo poi abbiamo assistito a due unificazioni dei Ministeri della pubblica istruzione e dell'Università, ed oggi, in questo secolo, ciò che si è perso per strada di sicuro è l'aggettivo pubblico.
Nell'acronimo M.I.U.R. questo aggettivo non si trova più.
E se le parole vogliono pur significare qualcosa, non resta che riflettere su di esse, anche quando non ci sono più.
Allora le scuole non erano autonome, solo i Tecnici e i Professionali e i Licei Artistici avevano la personalità giuridica.
Prepotente l'ingresso del concetto di comunità scolastica nel quadro normativo ed istituzionale.
Fallito il tentativo di introdurre la figura del preside elettivo, svettava su tutti il Distretto Scolastico, vero e proprio ente esponenziale, ai confini tra il momento organizzativo istituzionale e il momento politico, tutt'oggi formalmente vivo, ma sostanzialmente spento, come del resto i consigli scolastici provinciali.
Ogni timido tentativo di riforma degli organi di partecipazione democratica giace in parlamento da oltre dieci anni e gli stessi organi collegiali, a livello di istituzione scolastica, soffrono di una crisi di partecipazione e quindi di rappresentatività che molto poco giova al rapporto scuola, famiglia, territorio.
In quello stesso decennio avevano mosso i primi passi, tra vivaci contrasti politici, le Regioni e con esse si realizzavano le prime significative innovazioni legislative volte a rendere effettivo il dettato formale della Costituzione in tema di decentramento ed autonomie.
Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici era regolato dalla legge, tutti giuravano fedeltà alla Repubblica; vi erano esami di stato e quello di maturità, da qualche parte si invocava già l'abolizione del valore legale del titolo di studio, si erano consolidati gli effetti dell'istituzione della scuola media unica e la liberalizzazione degli accessi all'Università ci faceva affermare che la nostra era ormai una scuola di massa.
Si avviava una lunga stagione di assunzioni nella scuola sulla base prevalente di ope legis , immissioni in ruolo automatiche e indipendenti dal fabbisogno di cattedre o posti , sulla base di requisiti culturali e di servizio, con periodicità quadriennale simile a quella che caratterizzava le ricorrenti amnistie.
La stagione estiva facilitava il legislatore delle sanatorie.
La scuola era considerata anche un ammortizzatore sociale di una disoccupazione intellettuale, altrimenti minacciosa per la stabilità e la pace sociale.
I lavoratori del settore privato avevano conquistato lo statuto dei lavoratori e la contrattazione.
La scala mobile si avviava ad accentuare le differenze essendo previsti valori economici profondamente diversi nei vari settori lavorativi.
Ci fu un momento in cui nella amministrazione dello stato, un punto valeva 400 lire e nel settore bancario 4000.
Si può comprende come l'inflazione avesse una ricaduta ben diversa sulle condizioni di lavoro, e alla lunga la stessa capacità di mobilitazione delle organizzazioni sindacali si riducesse per effetto degli incrementi salariali automatici provenienti dalla scala mobile che , come sappiamo, fu in seguito abolita.
I sindacati si dicevano autonomi dai partiti, in realtà non lo erano affatto, ma questo è solo un esempio delle pubbliche ipocrisie, condivise collettivamente.
La stessa incompatibilità di carica sindacale ed appartenenza partitica voleva rafforzare tale proclamata distinzione.
Nei fatti, al termine del mandato sindacale, la gran parte dei leaders ha assunto compiti politici in quei partiti che tutti sapevano essere collaterali ai sindacati stessi e ciò spiega anche in parte i comportamenti contrattuali tenuti a seconda delle maggioranze al governo e tutto il tema degli scioperi politici.
Insomma l'art.39 Cost. era come ancora oggi inapplicato.
Nelle scuole elementari il maestro, ancora , a volte,di genere maschile, era unico, il tempo pieno non c'era ancora, alle medie accanto allo studio sussidiario venivano introdotte le L.A.C. (libere attività complementari).
I voti non ancora affiancati e poi sostituiti dai giudizi . Poi sono tornati, sia pure integrati, tanto da far sospirare di sollievo più di un nostalgico dell'autoritarismo pedagogico : ”finalmente, la ricreazione e finita!”.
Gli alunni non erano ancora utenti e neppure clienti, figurarsi se fosse immaginabile che dovessero diventare soggetti di patto formativo e patto educativo di corresponsabilità.
Insomma non ancora individui (sinistra) né persone (destra), l'attenzione era per l'attività di insegnamento, molto meno per il processo di apprendimento individuale e per i tempi distesi e soggettivi di un tale percorso.
Non c'era lo Statuto delle studentesse e degli studenti nelle varie evoluzioni poi intervenute.
L'ingresso dei bambini subnormali, poi handicappati, poi portatori di handicap, oggi diversamente abili, con tutte le misure che hanno accompagnato questa innovazione e di cui l'Italia si ritiene, anche se un po' enfaticamente, a ragione, orgogliosa , ha contribuito a determinare tutta una serie di ripensamenti pedagogici e didattici che hanno prodotto profonde trasformazioni in tutta la scuola , per tutti gli alunni e , a ricaduta, nella società tutta..
Insomma tanto è che oggi si può tranquillamente affermare che tutti gli alunni sono diversi.
Con buona pace di chi se ne duole, il rispetto delle fonti di diritto proprie di uno Stato moderno, o più precisamente post-moderno, anche allora non sempre si realizzava e il fenomeno giuridico mostrava la sua debolezza a tutto vantaggio della forza della politica, e più ancora di quella della economia.
Fu così che con semplice circolare ministeriale nel 1975 furono istituiti i Corsi per lavoratori, volti a realizzare una tutela più efficace del diritto allo studio e antesignana espressione di educazione permanente .
Più avanti ci pensò il Ministro Berlinguer ad innovare le fonti del diritto, ricorrendo a piene mani alle famose “bozze” che furono alla base anche dell'ultimo piano di razionalizzazione della rete scolastica, quello rimesso all'esclusiva competenza dei Provveditorati agli studi, prima dell'avvento dei piani di dimensionamento di competenza regionale.
Avendo egli promesso che non avrebbe fatto ricorso alle circolari ministeriali, per coerenza solo formale con i suoi assunti, peraltro condivisibili in tema di interpretazione del diritto, (ricordate il suo richiamo alla responsabilità autonoma decisionale poggiante anche sulla considerazione che tutto ciò che non è vietato è consentito?), dovette inevitabilmente cercare un altro nome per definire le istruzioni: non più ordini e circolari, ma più semplicemente “bozza”.
La circolare che ha avuto più successo nella storia scolastica della Repubblica è quella che emanò il primo Ministro non democristiano, il liberale Valitutti, nel 1979.
Questa consentiva riduzione delle ore di lezione, non tutte per la verità, per ragioni oggettive.
Ancora oggi essa viene invocata, spesso con successo, e vola alta su qualunque altra fonte.
Il Ministro Gelmini, quella che ha reintrodotto l'uso obbligatorio del grembiule solo parlandone e riparlandone, ha più volte sottolineato che non è vero che si sia , con la sua epocale riforma, ridotto il tempo scuola, ché anzi lei ha reintrodotto l'ora di sessanta minuti riallungando quell'ora che sotto l'ala protettrice della richiamata Valitutti si era ridotta almeno di dieci minuti.
Erano comunque gli anni in cui vi era il principio generale della segretezza, la gerarchia era il modo tipico dell'organizzazione amministrativa e le stesse scuole erano universalmente ritenute organi dello Stato.
Nulla lasciava presagire l'obbligo di pubblicazione sul Web del Pof, dei bilanci, né l'adozione della carta dei servizi.
La prevalente cultura giuridica dei funzionari dello Stato si alimentava dell'atto amministrativo, di interessi legittimi e ricorsi amministrativi .
Erano questi gli strumenti di tecnica giuridica per risolvere i temi del reclutamento, della mobilità e della gestione del personale.
L'attivazione dei Tribunali Amministrativi regionali, quasi una giurisdizione pretorile nei riguardi del Consiglio di Stato, mise in crisi quello spontaneo adeguamento che ogni amministrazione finiva per osservare nei riguardi della giurisprudenza consolidata dell'organo centrale tanto che oggi solo alla Presidenza del Consiglio è dato di impartire indirizzi di osservanza degli orientamenti interpretativi della giurisprudenza, assolvendo così in modo centralizzato ad una funzione unificante prima possibile in modo diffuso.
Avvocato necessario dello Stato, in ogni grado e giudizio era l'avvocatura dello Stato. Così non è più perché in primo grado lo Stato è privo di difesa tecnica e gli istituti conciliativi hanno ampliato questa mancanza ad una fase sempre più significativa extragiudiziale. Infatti ricorrenti interventi normativi hanno paradossalmente rimosso l'obbligo di assistenza da parte dell'Avvocatura, senza al contempo prevedere che lo Stato possa fare ricorso ad altri difensori.
Per eventuali giudizi per la tutela civile di interessi e diritti lesi da terzi, non c'è che da rivolgersi, ancora una volta alla presidenza del Consiglio perché autorizzi l'avvio di un giudizio civile con attore la Pubblica Amministrazione.
La cosiddetta giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo risolveva il timido riconoscimento dei diritti soggettivi in questo settore.
Era ancora il tempo della supremazia dello Stato sovrano nei riguardi dei cittadini prevalentemente portatori di interessi mediati, occasionalmente protetti, meritevoli di tutela solo se coincidenti con l'interesse generale.
Il silenzio della Pubblica Amministrazione non diceva niente, al più equivaleva ad un rifiuto o ad un rigetto, di assenso non se ne parlava affatto.
Sarà solo con gli anni novanta che la posizione del cittadino suddito, verrà normativamente riposizionata su un piano di prevalente parità con quella dello Stato, solo eccezionalmente e motivatamente prevalente.
L’origine di una inversione radicale è scaturita dalla legge sulla trasparenza.
Il principio generale della pubblicità della azione amministrativa, il diritto di accesso agli atti, il diritto di partecipazione alla formazione degli stessi, l'individuazione necessaria delle figure dei responsabili del procedimento, la previsione di un termine entro il quale i provvedimenti devono essere emanati, i procedimenti conclusi e l'obbligo della motivazione sono istituti che hanno contribuito in maniera determinante a questa vera e propria rivoluzione di cui non sempre ci si rende conto, ma che si lega, come sempre ,alla stessa evoluzione del sistema scolastico.
Non c'è infatti modifica normativa e istituzionale che non abbia i suoi immediati e, spesso incalcolabili, effetti sulla didattica e sullo stesso significato del fare scuola.
Nel frattempo con leggi ordinarie veniva portato progressivamente a maturazione il così detto processo di delegificazione del pubblico impiego che doveva sottrarre al Parlamento la regolamentazione del rapporto di lavoro pubblico, a tutto vantaggio del potere governativo mediato da accordi con le parti sociali, in un primo momento, e poi di seguito demandata ad una agenzia(Aran) sotto forma di contrattazione collettiva da stipulare con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Atti efficaci erga omnes senza necessità di intervento regolativo eteronomo, del tipo che la Costituzione prevede come possibili solo in caso di registrazione dei sindacati (art.39 Cost.).
Come la legge del pendolo impone, ai giorni nostri assistiamo ad un progressivo ritorno al quadro normativo istituzionale e ad una riduzione dell'efficacia normativa pattizia nel settore pubblico.
Ecco che con il Ministro Brunetta la legge riconquista gli spazi della contrattazione, anche a scapito di quella di Istituto.
Sull'onda poi del successo culturale della sfera privata rispetto a quella pubblica si sono consumati i passaggi più significativi nella natura stessa del rapporto di lavoro nel settore pubblico, in genere, e della scuola in particolare, tuttora non sufficientemente osservati e valutati sul piano culturale e sistematico e che solo semplificativamente possiamo indicare come privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego.
Il processo trova con ogni probabilità tutta una serie di fattori concorrenti al suo realizzarsi.
Il prevalere sul piano culturale di una anedottica volta a svalutare il buon andamento della cosa pubblica, la semplificante traduzione economicistica dell'amministrazione degli interessi generali, del bene comune, molto spesso ha fatto ritenere possibile l'efficienza e l'efficacia solo in contesti organizzativi tipici del settore privato.
Su un diverso piano più generalmente politico, anche se è difficile comprendere in quale sede politico istituzionale sia maturato, il principio di sussidiarietà orizzontale ha fatto il resto.
Tale principio, che sembra essere una sorta di presupposto fondante della nostra organizzazione sociale e politica, stabilisce che ogni attività debba essere svolta in un regime di iniziativa privata, salvo che essa ,non suscitando un interesse mercantile nei fatti , non debba essere assunta da soggetti pubblici.
Questa visione residuale ed eventuale del bene comune, è di per sé un fatto culturale del quale meriterebbe tenere conto maggiormente anche quando si analizzano poi sistemi complessi come quello scolastico.
Chi non ha sentito parlare di Presidi manager, chi non ha sentito il richiamo alla fedeltà aziendale, e alle istruzioni del proprio datore di lavoro, al rispetto della gerarchia anche con riferimento ai docenti che pure dovrebbero essere ritenuti titolari della libertà di insegnamento ?
Torniamo alla scuola, quella dei banchi
Abbiamo assistito all'avvento del tempo pieno nelle scuole elementari e del tempo prolungato nelle scuole medie.
Tempi scuola che hanno costituito spesso terreno di scontro ideologico perché, a comprova di quanto detto prima, non c'è fatto organizzativo che non debba fare i conti con scelte di politica scolastica, e politico più in generale.
Le alterne fortune di un istituto giuridico, non possono essere viste esclusivamente sul piano della efficacia e dell'efficienza, né tanto meno solo sotto il profilo economico, ma vanno lette in rapporto a visioni più generali di organizzazione sociale e politica.
Chi non ricorda quali e quanti argomenti furono addotti contro l'introduzione del sistema modulare nelle scuole elementari e del tempo prolungato nelle scuole medie?
Secondo alcuni pedagogisti i nostri bambini avrebbero subito un vero e proprio trauma educativo dal venir meno della figura del maestro unico, una sorta di disorientamento affettivo ed identitario troppo precocemente determinato dalla presenza di diverse figure di riferimento, in aperto contrasto con l'unicità della figura materna.
Puntuale il sospetto che la riforma trovasse poi accoglimento e sostegno prevalentemente per via dell'incremento occupazionale che avrebbe comportato.
Sono, a ben guardare, alcuni dei principali argomenti che si sono ripresentati ai tempi nostri in occasione dell'ultima riforma, con la quale viene comunque superata l'organizzazione modulare.
Il tempo prolungato nella scuola media, visto sulle prime come un offerta formativa di tipo inferiore, aveva già cominciato a manifestare applicazioni lontane dalla funzione originaria quando intervenne la direttiva Berlinguer volta ad assicurare il suo progressivo superamento che a tutt'oggi non si è ancora compiuto.
Se le note di qualifica per il personale della scuola erano state già abolite dai decreti delegati, che avevano previsto nuovi meccanismi valutativi, di fronte al dibattito parlamentare dei giorni nostri, non possiamo non ricordare che solo limitatamente al personale docente fu eliminato l'obbligo di giurare fedeltà alle leggi della Repubblica.
L’occasione che portò alla riflessione fu lo sciopero della fame di un docente bolognese, che richiamò l'attenzione del presidente Sandro Pertini e in breve, proprio in ossequio alla libertà di insegnamento, tale obbligo fu rimosso perché ritenuto in qualche modo incompatibile con le prerogative professionali dei docenti.
Se in seguito alcuni interventi, detti e non detti, hanno richiamato al dovere di fedeltà che implicherebbe quello del silenzio e della critica per “via gerarchica”, si vede quanta strada ci separi da quella abolizione e dall'attuale condizione di privato dipendente.
A ben vedere il tema di fondo è quello della conciliabilità dell'obbligo di rispettare le leggi, e del significato di un rafforzamento fideistico di tale obbligo in capo a soggetti che esercitano comunque una pubblica funzione, indipendentemente dalla natura giuridica del proprio rapporto di lavoro.
Sono gli anni in cui si comincia ad introdurre anche nella scuola il principio di un reclutamento che tenga conto della vacanza dei posti e quindi interrompa quell'annoso assunzione che prescindeva dalla valutazione degli effettivi bisogni.
Per rimediare agli esuberi consistenti di docenti reclutati indipendentemente dal fabbisogno e ad interventi riformatori che comportavano massicce presenze di soprannumerari, fece ingresso la D.O.A. (dotazione organica aggiuntiva).
La dotazione organica aggiuntiva, quella titolarità cioè di una cattedra che nulla ha a che fare con le esigenze di servizio di una determinata scuola.
Erano gli inizi degli anni ottanta, un cammino lunghissimo di riassorbimento di personale docente eccedente e che ha dato vita ad estenuanti operazioni di utilizzazione anche su materie cosiddette affini che certo non hanno contribuito a rendere più spedite ed efficienti le operazioni di avvio dell'anno scolastico.
Erano gli anni in cui Confindustria investiva sulla formazione del personale direttivo della scuola, anni in cui reiteratamente si inseguiva il miraggio di una riforma dell'istruzione superiore e di nuove forme di autonomia scolastica, compiutasi come è noto solo nel biennio ’97/99.
Il vuoto riformistico per la verità è stato riempito abbondantemente dalla capacità di elaborazione delle scuole attraverso le varie forme di sperimentazione metodologica didattica, riconosciuta dalla legislazione allora vigente.
Mini e maxi sperimentazioni, autonome o assistite hanno costituito a lungo un effettivo e partecipato adeguamento della istruzione secondaria di secondo grado sino all'avvento semplificante operato di recente.
La realtà scolastica non era in vero immobile e forte veniva espresso il desiderio di porre fine alla tirannia dei programmi ministeriali, se mai in fatto ci sia stata è altra questione, alla rigidità di curricoli predeterminati dal centro e validi in ogni dove.
A ben vedere era proprio questa una delle aspirazioni più fondanti una richiesta di autonomia, che è poi la stessa aspirazione più tradita dalla effettiva realizzazione ultra decennale dell'autonomia sin qui resa possibile.
Ordinamenti semplificati ed uniformi, lasciano quote di flessibilità o autonomia curriculare, anche significative sul piano quantitativo, ma nei fatti condizionate a disponibilità residuali molto risibili e non predeterminabili per una tempestiva e adeguata programmazione dell'offerta formativa.
Sul terreno troviamo aperto e vitale più che mai il tema della dimensione europea della nostra scuola, inserita in uno Stato che presenta una difficile e contraddittoria trasformazione di tipo federale, avviata prima negli ultimi anni novanta a costituzione immutata con atti normativi cioè di efficacia ordinaria, che hanno recepito tutta la carica di decentramento possibile e compatibile con la Costituzione, su tutti il D.Lvo 112 del 1998, e che hanno formalmente anticipato soprattutto il principio di sussidiarietà verticale.
Nei fatti tuttavia proprio mentre il legislatore Costituente andava a modificare in senso federale , nel 2001 , la stessa Costituzione, abbiamo assistito ad una progressivo rallentamento del processo di federalismo avviato che si è accompagnato ad un progressivo arresto dell'autonomia scolastica effettiva.
Non siamo in grado di affermare con certezza quale sia il rapporto tra questi due fatti ma ci sembra che essi meritino una autonoma riflessione da parte di tutti.
Ai vecchi nodi irrisolti della valutazione, della gestione della scuola attraverso le varie finanziarie, si è affiancato in modo pregnante il braccio di ferro Stato - regioni , sulla linea di demarcazione tra sistema di istruzione e sistema della formazione, veri e propri confronti per la conquista di territori, molto spesso ammantati di giustificazioni di principio posticce.
Abbiamo assistito a proclami di rifondazioni del nostro sistema formativo, prima e dopo la riforma del titolo quinto della costituzione, quasi mai realizzati, spesso minacciati, il tutto molto indicativo di quanto tenue sia la riflessione scientifica e quanto forte, invece ,la ragion pratica della contrapposizione tra poteri, prima ancora che quella politica.
Dall'inizio del secolo gli istituti professionali dovevano transitare nel sistema regionale, poi solo una parte di essi, almeno sino a quando le regioni non fossero pronte ad accoglierli tutti, poi con la Moratti il sistema del doppio binario, della pari opportunità, avrebbe dovuto comportare il passaggio alle regioni anche di alcuni Istituti Tecnici (e via allora al fiorire sperimentale dei Licei tecnologici, perché si sa alle volte basta la parola), poi Fioroni assicura tutti che i Tecnici non si toccano ed infine la cronaca registra che neppure i professionali vanno alle regioni, ma transita solo la loro capacità di conferire i diplomi di qualifica.
Insomma non potendo qui dettagliare oltre, basta il richiamo alla necessità che una riflessione scientificamente più solida ispiri i legislatori e che la scuola venga posta, non certo in una impossibile campana di vetro, ma almeno in parte al riparo delle più basse manovre di governo, quelle cioè che non rispondono ad una convinta interpretazione generale del ruolo della scuola.

Qualche osservazione finale che possa riguardare più da vicino coloro con cui ho lavorato in questi lunghi anni e che sono i lavoratori: (attenzione alle sigle) del Provveditorato agli Studi di Ferrara dal 1975 al 1978, quelli di Bologna dal 1978 al 1981, poi ancora quelli del Provveditorato agli Studi di Ferrara dal 1981 al 1996, quelli del Provveditorato agli studi di Bergamo nel 1996, dove ho assunto per la prima volta il ruolo di Provveditore agli Studi, quelli del Provveditorato agli Studi di Forlì, dal 1996 al 1999, quelli del Provveditorato agli Studi di Rovigo dal 1999 al 2002: la mia ultima volta da Provveditore agli Studi !,quelli dell'Ufficio Scolastico Regionale del Veneto, in particolare quelli dell'allora area 4 Interventi educativi, quelli del C.S.A. di Padova del 2002, quelli del C.S.A. di Ferrara dal 2003, di seguito quelli dell'Ufficio scolastico provinciale di Ferrara, e dell'Ambito territoriale 10, quelli dell'ambito territoriale 17 di Rimini.
Nel nostro lavoro continuano a riversarsi la gran parte delle contraddizioni irrisolte del sistema scolastico, tra le più evidenti la totale dissociazione tra la determinazione dell'offerta formativa sul territorio, peraltro fortemente abbandonata ad una sorta di conservazione delle posizioni acquisite, a fronte del precedente sistema centralizzato che rivedeva effettivamente il piano delle istituzioni ogni anno , e la erogazione delle risorse.
La costante limitatezza delle stesse impone a noi in periferia di assumere il volto prevalente della negazione.
L'articolazione organizzativa del Miur, ha fatto il resto in tema di delegittimazione di un ruolo che comunque si tenti di ridefinire con le parole, non può essere sostituito dignitosamente da nessuno se il disegno federalista continua ad essere solo una strategia elettorale e non si traduce in comportamenti coerenti.
Il senso dell'interesse generale, nonostante tutto, è prevalente nella nostra formazione culturale e professionale ed è quello che dà la forza di andare avanti nonostante tutto.
Alle scuole di questa provincia il già noto appello di essere impegnate nella elaborazione della cittadinanza colta del proprio territorio per stare nella comunità scolastica, con capacità critica e con progettualità attiva.
E' ciò di cui hanno bisogno i giovani per coltivare il gusto dell'impegno civile e culturale, è ciò di cui hanno bisogno i genitori per essere posti nelle condizioni di dialogare sui temi dell'istruzione e della educazione dei propri figli, è ciò di cui hanno bisogno le stesse istituzioni territoriali e le formazioni sociali per rapportarsi in modo corretto con la scuola e per dare vita a comportamenti coerenti e coordinati in tema di formazione culturale e sociale dei giovani.
Tra le difficoltà più gravi e che mi pare non destino sufficiente attenzione vi è quella della mancanza del personale dirigente nella metà delle scuole della provincia, in grave coerenza con quanto avviene generalmente in Italia.

Buon lavoro a tutti e grazie

Vincenzo Viglione


mercoledì 12 gennaio 2011

Come mi batte forte il tuo cuore di Benedetta Tobagi

Ho letto questo libro che ha vinto il premio Estense 2010 e sento di dover fermare e restituire almeno in parte i pensieri che ha provocato in me e i sentimenti  che ha suscitato.
L’opera che sta tra il romanzo e il saggio storico, può essere letta con una doppia chiave, ma il suo pregio sta proprio nell’intreccio di queste chiavi, con la felice realizzazione di un equilibrio difficilissimo tra sentimento e ragione, tra pubblico e privato, tra vita e morte, tra creatività e rigore scientifico.
Un periodo della nostra storia che mi è anagraficamente vicino, un anno mi separa dal popularis Walter Tobagi e un anno separa l'autrice dall'età di mia figlia.
Studenti emigranti entrambi, in quegli anni si fronteggiarono temi politici che videro contrapposizioni fortemente ideologiche e che lasciarono segni profondi , oggi spesso ripresi con rapide semplificazioni, semplicistici giudizi e che comunque non sono così lontani dal resistere all'offuscamento che le passioni spesso producono sulla ragione. Ma sono abbastanza lontani per essere dimenticati da chi pure li ha vissuti e non sempre ne coglie gli sviluppi odierni, o sconosciuti da chi non c'era.
Era forse più chiara allora l'identità delle forze politiche ma non meno travagliata era la scelta di campo stante un' improvvisa radicalizzazione dei pensieri prevalenti che si contrapponevano, tutti comunque investiti da una sorprendente mobilitazione dei giovani e un diffuso interesse partecipativo.
 Il movimento pose in dubbio le stesse regole già faticosamente raggiunte della nuova democrazia , soprattutto quelle della rappresentanza e la diretta partecipazione si risolse in scelte assembleari: rivoluzione?, riforma? reazione ?
Neppure il massimalismo comunista rappresentava più una forza di cambiamento drastico perchè comunque sembrava necessaria una soluzione extra parlamentare e dall'altra parte molto spesso tutte le altre espressioni politiche rappresentavano la insoddisfacente conservazione: quelle di estrema destra come il movimento sociale erano da tutti considerate fuori dal cosiddetto arco costituzionale.
(Pur essendo extraparlamentari anche i movimenti che nacquero al di fuori dei partiti di sinistra e di estrema sinistra, presenti appunto in parlamento, non vennero mai politicamente considerati fuori dall'arco costituzionale, nel che si coglie una conferma che le classificazioni politiche , per valutazioni di parte , predominante sono capaci di piegare la forma del diritto9.
Tutto questo per dire in modo molto succinto che una posizione riformista come quella che possiamo usare per indicare l'azione di Walter Tobagi non godeva a quel tempo di gran appeal, schiacciata da contrapposizioni ben più accattivanti.
E' questo probabilmente un risultato credibile della ricerca che la figlia di Walter compie sulla figura professionale e pubblica di suo padre , come ricercatore, come pubblicista e come sindacalista.
La collocazione a torto o a ragione nell'area socialista, può legittimamente consentire un riformismo più o meno accentuato ed inviso sia alle forze della reazione che a quelle della trasformazione radicale della società.
Anche se, a ben guardare nella articolata area socialista ,era poi difficile stabilire quale fosse la dose esatta di riformismo che si accordasse in modo adeguato alle istanze di cambiamento che comunque il movimento studentesco ed operaio portavano avanti sia pure da diverse posizioni.
E sono proprio gli attachi violenti nei riguardi di questi importanti e isolati uomini riformisti l'oggetto ricorrente dei terroristi, a differenza ad esempio dei terroristi tedeschi.
E di questo l'autrice si chiede la ragione.
A parte la invincibile commozione che induce la personale ricerca di un padre da parte di Benedetta Tobagi attraverso l’arco della sua vita con un bisogno di amare e di essere amata da un padre strappatole da una violenza di cui pure con tenacia ricerca il senso, la cosa che più mi affascina è lo sviluppo di una personalità che sul filo di una esasperata ricerca di identificazione sembra riuscire nell’intento di farsi spingere nella schiena per diventare adulta e diversa dal padre ritrovato nei suoi cinque sensi.
Mi sembra che Benedetta abbia ridato vita al suo papà Walter, non solo nella dimensione familiare , ma anche in quella pubblica e dell’impegno civile.
Nel fare ciò ci ha offerto una ricostruzione di quel periodo storico di tutto rilievo.
Un materiale per riflessioni incredibilmente scevre da visioni di parte, da luoghi comuni, da semplificazioni che pure una parte tanto offesa avrebbe potuto restituire.
La fiducia della ragione che è alla base del pensiero riformista, in una con l’amore per gli altri, impedisce all’autrice di cadere nella retorica e forte del rispetto per l’umanità ci offre una testimonianza di amore e di condivisione universale.
Soddisfatta di aver conosciuto in modo autonomo e critico suo padre, dopo averlo tanto cercato superando molti ostacoli rappresentati proprio dalle ricostruzioni di comodo che da tante parti vengono proposte, direi che è come se Benedetta avesse preso il testimone dal padre e sia pure con tutta la propria autonomia voglia proseguirne l'azione.Nel fare questo offre una rivisisitazione ragionata di quegli anni, rifugge dai sentimenti di vendetta e di riparazione, non induce a semplificazioni e avanza in modo molto corretto e prudente tra gli avvenimenti, individuando possibili continuità tra quei tempi e i giorni nostri nel Piano di rinascita democratica stilato dai vertici della P2. e che prevede l' infiltrazione negli apparati della sicurezza, negli apparati burocratici ministeriali e amministrativi, delle banche per lo spostamento dei centri di potere reale dal parlamento, dai sindacati, dal governo ai padronati multinazionali con i correlativi strumenti di azione finanziaria...la magistratura dovrà essere sottoposta all'esecutivo per evitare interferenze...Il controllo della stampa in questo disegno,è essenziale: per influenzare e indirizzare l'opinione pubblica, distogliendo l'attenzione dai problemi reali, manovre o scandali che possono portare alla luce il disegno sottostante.
Dinanzi al riproporsi di analoghe forme organizzative occulte è impressionante come bastino solo nomi che ricorrono, e fatti certi ,a rendere evidente il disegno destabilizzante ed eversivo in atto ora come allora.
I rapporti tra politica o meglio tra partiti e magistratura, i rapporti tra il potere editoriale  e la libertà di stampa, si intrecciano con i nomi degli iscritti alla P2 di cui spesso perdiamo memoria.
Ne riporto qui di seguito alcuni tratti dal libro e che in parte avevo dimenticato. Oltre al padre della P2 Llicio Gelli vi sono, a puro titolo esemplificativo, i socialisti Salvo Andò, Fabrizio Cicchito e Vanni Nisticò in politica, Angelo Rizzoli ,il direttore del Corriere di Informazione Tassan Din, il direttore del corriere della Sera Franco Di Bella , Silvio Berlusconi, nel settore 17 della loggia Stampa e Tv, il giornalista Giorgio Rossi, Maurizio Costanzo, Roberto Gervasio, Roberto Ciuni, nella stampa .
Cadde un governo in quegli anni per effetto dello scandalo della P2 e una Commissione di inchiesta parlamentare presieduta da Tina Anselmi lavorò alacremente . Forse è proprio il caso di rivisitarne i risultati che probabilmente non sono solo utili sul profilo storico ma che potrebbero farci capire meglio anche le News..